Pasquale
era una persona, che amava la sua identità, sempre in fieri, e non
la svendeva. Cascasse il mondo! Amava la Costituzione. Nata quando il
moccio gli colava dal naso. La adorava come tanti che continuano a
considerarla il Vangelo della vita civile. Montava in trincea,
perciò, quando veniva trattata come uno zerbino. Semplicemente,
pretendeva il rispetto dei diritti, per sé, la comunità locale,
l’intera umanità e la “nutrita schiera di animali ed erbe”.
Strizzava l’occhio ai doveri. Con compiacimento.
Strappò
dalla fame due fratellini, che si sedettero festanti alla sua sobria
mensa. Pietoso, raccattò sulla spiaggia un cane dai timidi occhi
celesti. Abbandonato. Se ne prese cura. Amorevolmente. Per anni.
Lo
conoscesti al Liceo Classico di Barletta. La classe era formata
esclusivamente da studenti. Quando nel corridoio, quindi, passavano
le studentesse del corso “B”, l’ingresso repentinamente si
intasava, …ed era uno spingi-spingi. I commenti e gli ammiccamenti,
allora, piovevano dalle ansimanti bocche giovanili come i fiocchi di
una tormenta di neve.
“Ciao”,
tu a lui, “ciao” lui a te. Qualche chiacchierata estemporanea
sulle inadeguatezze di alcuni docenti. Apprezzamenti e stima per chi
forgiava uomini e cittadini.
Con
la laurea in tasca, eccovi, insieme ad insegnare. Discipline diverse.
Nelle stesse classi. A programmare attività didattiche. A valutare
gli alunni. Per anni. Tanti. Sbarramento di fuoco contro ogni forma
di favoritismo o di ingiustizia.
Fasulli certificati medici non vennero consegnati. Mai! Si adirava,
perciò, come un toro, reso furente dal drappo rosso, quando della
gentaglia si assentava per lo shopping, la palestra o partiva
gongolante per la settimana bianca.
Con
due presidi incrociò la sciabola, perché gli interessi degli alunni
e della collettività venivano feriti da una gestione privatistica.
Dopo avere, poi, verificato che le autorità preposte nicchiavano per
complicità, si vide costretto a rivolgersi alla Procura della
Repubblica. Assieme ad una pletora di insegnanti, attenti alla
propria dignità, rispettosi della legalità.
Allora,
per i docenti, alunni e cittadini, non era stata ancora vomitata la
“buona scuola”, un coacervo di pedanti atti burocratici e becero
autoritarismo di stampo aziendalistico. Altrimenti, la mannaia dello
strapotere dirigenziale avrebbe potuto mettere a tacere la voci
critiche e dissenzienti, e gli interessi della collettività
sarebbero stati martoriati.
Nel
Collegio dei Docenti e nel Consiglio d’Istituto era un
mattatore. Prendeva, infatti, la parola tutte le volte che
rischiavano di essere malmenati diritti dei ragazzi, delle famiglie e
dei docenti. Proposte ne scodellava. A iosa.
Con
la serietà professionale, poi, coniugava la leggerezza del vivere.
Percorreva, infatti, lo slalom delle smagliature, che la vita gli
rovesciava addosso. Con dignità, con allegria ed umorismo.
Nella
sala dei professori, le battute esilaranti erano scoppiettanti come
un fuoco d’artificio. Una volta, ti abbracciò con trasporto. Una
collega presente all’amplesso, commentò con disprezzo: “Siete
gay?!” “Educatrice,” precisò, Pasquale, “quand’anche lo
fossimo, ne saremmo orgogliosi.” Pausa. “Io e l’amico non solo
ci abbracciamo, ci baciamo pure. Nella bocca. Consideri che abbiamo
dimestichezza con le lingue, lui d’italiano ed io di francese.
Purtroppo dopo il deliquio sensuale, fatichiamo a parlare, per
l’avvenuto scambio delle dentiere.” La collega, sconvolta e
disgustata, sparì con la velocità di una centometrista, né mai più
mise piede nella sala dei professori, quando la voce dei reprobi si
faceva sentire.
Pasquale
si rendeva disponibile per la comunità scolastica anche al di fuori
dell’orario di servizio. Quando, infatti, venne a sapere che una
condomina doveva disfarsi di pesanti fioriere in cemento, mise a
disposizione il suo tempo e la sua vettura per caricarle e
trasportarle a scuola.
Con
la frequentazione ravvicinata, diveniva, sempre di più, un amico.
Sincero ed autentico. Eccovi, allora, tu e lui, a parlare di mare, a
confidare reciprocamente segreti, a sognare un mondo più civile. E
lui ad ascoltare, a suggerire a proporre, a rilanciare, senza
prevaricare, senza l’alterigia di chi presume di conoscere la vita
ed indica strade maestre agli altri!
Quando
bussavi alla sua abitazione, con un ampio gesto del braccio, ti
invitava ad entrare. A qualunque ora del giorno. Nell’altra mano,
immancabilmente, con l’indice che faceva da spartiacque tra la
pagine lette e quelle da studiare, accarezzava un libro, che per
qualche giorno aveva salutato la foltissima compagine che tappezzava
l’ampia parete.
Da
uomo libero, amava il mare. Alla follia. Non aveva bisogno di evadere
in lidi esotici. Da raccontare agli altri. Immancabilmente,
raggiungeva con la sgangherata bicicletta la comitiva del faro rosso,
e dalle profondità raccoglieva mitili, ostriche tartufi e ricci da
distribuire al mitico Paolo e a tanti amici non avvezzi ad esplorare
gli anfratti. Desiderava, perciò, che le sue ceneri venissero
disperse su quel lembo di sogno.
Ora, il Padreterno, seduto assieme a lui ed a Paolo, su uno scoglio
calcareo, raggiunto di tanto in tanto da spruzzi schiumosi di acqua
marina, si starà sbellicando di risate. Forse, per questo lo ha
chiamato prima di altri. O forse staranno commentando, il periodo in
cui Pasquale, nauseato, abbandonò i DS, quando si accorse che la
differenza tra destra e sinistra diventava sempre più esigua. O
forse saranno intenti a declamare poeti e scrittori francesi. O forse
canteranno, e l’amante del mare, con voce baritonale. E tanti
delfini, guizzanti e sorridenti, intorno a loro.
Domenico Dalba